VIAGGIO E WORKSHOP FOTOGRAFICO IN ISLANDA

Dìa de la Revoluciòn Dule a Guna Yala: una festa violenta nel paradiso delle San Blas [Oltre Il Reportage]ReportageDìa de la Revoluciòn Dule a Guna Yala: una festa violenta nel paradiso delle San Blas [Oltre Il Reportage]

Dìa de la Revoluciòn Dule a Guna Yala: una festa violenta nel paradiso delle San Blas [Oltre Il Reportage]

attori malmenati rivoluzione Guna panama

Sono sconvolta: li stanno picchiando selvaggiamente davanti ai miei occhi.

Le ragazze sono giovani, bellissime nei loro abiti rosso sangue, i capelli coperti da uno scialle colorato, le magliette adornate con le mola, i ricami tradizionali che rappresentano il sacro e il quotidiano della cultura Guna. Ma alla polizia non piace.

rivoluzione guna
Una donna guna intenta a ricamare le mola – foto di Ilaria Cazziol

Il governo di Panama ha emanato delle leggi per cercare di “civilizzare” i Guna, di renderli un po’ più cittadini di questo grande Stato che vuole essere il più ricco dell’America Centrale, un po’ meno indigeni.

E così, mentre le donne sono chine sulle proprie ginocchia, intente a cucire le mola colorate, i poliziotti si avventano loro addosso. Le picchiano, le buttano a terra, le trascinano nel terreno arido tirandole per i capelli, strappano loro i vestiti, cercano di forzargli addosso delle occidentali t-shirt e pantaloni.

donna guna al festival della revoluciòn dule
Foto di Ilaria Cazziol

All’uomo non va meglio, anzi.

medico tradizionale guna
Medico tradizionale guna – foto di Ilaria Cazziol

Lui è un medico tradizionale, era intento a mischiare erbe e tagliare frutti, cospargendosi il corpo di intrugli, quando gli si sono lanciati addosso. E mentre lo picchiano con furia, uno schizzo rosso sangue esce dalla sua bocca e gli si riversa sul petto nudo. Un bambino che osserva la scena piange disperato…

rivoluzione guna
Un uomo picchiato durante la rivoluzione Guna – Foto di Ilaria Cazziol

Poi lo spettacolo finisce, tutti applaudono mentre gli “attori” escono dalla vista del pubblico, sparendo dietro una capanna di paglia.

Sto assistendo al surreale spettacolo del Dìa de la Revoluciòn Dule, il giorno in cui si ricorda la rivoluzione del popolo Guna, nel territorio autonomo di Panama chiamato Guna Yala. Sono l’unica straniera, e mi sembra di essere lontana anni luce dalle San Blas a Panama che gli altri turisti conoscono, mentre partecipo alla festa più cruda e violenta che mi sia mai capitato di vivere.

festeggiamenti dia de la rivolucion dule
Festeggiamenti dia de la revolucion dule – foto di Ilaria Cazziol

Rivivere la rivoluzione Guna

Ho gli occhi pieni delle scene che sto guardando: a tratti sorrido per la veemenza di certi momenti, in altri vorrei solo coprirmi gli occhi e guardare altrove. È tutto molto, quasi troppo realistico.

I Guna sono dei veri e propri stuntmen quando si tratta di inscenare la propria venerata rivoluzione, per quello che quest’anno è stato il 98° anniversario.

Una festa violenta
Una festa violenta – Foto di Ilaria Cazziol

Non ho mai visto tanta violenza se non nei film, e non mi aspettavo certo di vederla alla Festa della Rivoluzione Guna.

Non so cosa mi aspettassi, a dire il vero. Quando ho scoperto che il 25 febbraio ricorre l’anniversario della rivoluzione che gli ha garantito l’indipendenza da Panama, e che quel giorno festeggiano l’autonomia delle isole San Blas (che per l’appunto da circa decennio si chiamano in realtà Guna Yala, “terra dei Guna”), non sapevo nulla dei Guna.

Sapevo solo che sarebbe stato un vero e proprio spreco di reportage essere a Panama in quel periodo e non assistervi.

È il nostro modo di ricordare il dolore che abbiamo provato

Iniquilipi Chiari Lombardo

È il nostro modo di ricordare il dolore che abbiamo provato”, mi dice Iniquilipi Chiari Lombardo, il mio nuovo amico Guna che mi sta ospitando e introducendo alla propria cultura, e che deve aver colto lo sguardo sconvolto che ho dipinto in volto.

bambine guna e simbolo di pace
La svastica qui è un simbolo positivo – foto di Ilaria Cazziol

Rimettiamo in scena quei mesi terribili che hanno portato alla rivoluzione, durante i quali non mancavano soprusi e violenze, in cui hanno cercato di annientare le nostre tradizioni…ma più ci provavano, più noi ci impegnavamo a preservarle”.

La strada verso la rivoluzione

Già prima del 1925 il governo centrale aveva iniziato a non vedere di buon occhio i Guna: questa popolazione indigena non ne voleva sapere di adattarsi alla modernità che stava investendo il resto del Paese.

Panama aveva grandi ambizioni (basti pensare che il primo tentativo fallimentare di costruire il Canale risale al 1880), e l’idea che una bella fetta della propria popolazione vivesse sulle isole praticando lo shamanesimo e i lavori tradizionali, ignorando completamente il resto del mondo, non gli andava a genio. 

sciamano guna
Sciamano guna – Foto di Ilaria Cazziol

Così, nel 1924, iniziarono a promulgare leggi sempre più limitanti per la libertà di espressione dei Guna: non potevano insegnare la lingua nelle scuole, né praticare la medicina tradizionale.

Il colpo di grazia fu forse il divieto di cucire e indossare le mola: questi tessuti, ornati da complicati disegni tribali che rappresentano scene religiose e mondane, erano una delle più sentite tradizioni Guna.

mola guna yala
La mola, tipico prodotto di Guna Yala – foto Ilaria Cazziol

Il governo iniziò a stanziare membri della polizia nelle varie isole abitate dagli indigeni, per assicurarsi che le nuove regole venissero rispettate. Ma come spesso capita, il limite tra controllo e violenza è sottile, e ben presto i poliziotti iniziarono una serie di abusi sulla popolazione locale. Percosse, violenze, stupri e soprusi generali erano all’ordine del giorno.

I Guna, un popolo molto pacifico che non possiede armi né ha alcun addestramento militare, per un po’ sopportarono. E sopportarono. E sopportarono ancora.

Ma all’inizio del 1925, la popolazione non ne poteva più. Il Congresso, l’organo centrale di rappresentanza di tutte le comunità Guna sparse tra le varie isole e la terraferma, non poteva riunirsi. Ma con astuti sotterfugi, riuscirono comunque a scambiarsi messaggi e prendere una decisione: adesso basta. Era ora di reagire.

Guna rivoluzione san blas panama
Un giovane Guna armato di un finto machete – foto Ilaria Cazziol

Avrebbero approfittato del carnevale, una festa in cui tipicamente tutti, soprattutto i poliziotti, si davano all’alcool. Li avrebbero colti di sorpresa, attaccandoli contemporaneamente lo stesso giorno in tutte le comunità, così che non potessero far partire comunicazioni e ricevere rinforzi.

Avrebbero fatto la rivoluzione del popolo (revoluciòn dule) e proclamato l’indipendenza.

E così fecero: il 25 febbraio in tutte le comunità gli uomini (ma anche le donne, visto che è una società fortemente matriarcale) si erano preparati a combattere, creando armi d’emergenza con utensili e oggetti a loro disposizione.

ragazzo armato guna yala
Ragazzo guna armato di fucile finto – foto Ilaria Cazziol

E mentre i poliziotti erano impegnati a festeggiare il carnevale, attaccarono.

Tutti insieme, su ogni isola, alcune distanti anche centinaia di chilometri, all’inno di “viva la revoluciòn dule”, uccisero i poliziotti e dichiararono l’indipendenza di Guna Yala da Panama.

Una versione diversa della storia tipica

E fin qui sembra una storia sentita centinaia di volte: il coraggioso ma impreparato popolo indigeno prova a sfidare la grande potenza, e questa reagisce con la forza schiacciandoli e riducendoli quasi in schiavitù.

È la versione che è toccata alla maggior parte delle popolazioni indigene del mondo, purtroppo.

Ma il bello della storia dei Guna è che la loro andò diversamente.

ragazze festeggiano la Rivoluciòn Dule
ragazze festeggiano la Revoluciòn Dule – foto di Ilaria Cazziol

Non è facile capire il motivo: i Guna danno la loro versione, la storia ufficiale ne dà un’altra. Quello che è chiaro è che questo popolo indigeno era impreparato alla guerra, ma non lo era affatto quando si trattava di contrattare.

Già da anni, per motivi legati anche ai lavori nel canale di Panama, i Guna avevano ottimi rapporti con i potenti Stati Uniti. E in quel momento così delicato in qualche modo riuscirono a far arrivare una richiesta di aiuto all’allora presidente USA.

E così, proprio quando il governo centrale era pronto a reagire con la forza, arrivò l’intercessione dall’alto a cui nemmeno il Presidente di Panama poteva dire di no. E i Guna si tennero, contro ogni pronostico, la loro indipendenza, ottenuta con una rivoluzione di praticamente un solo giorno e poche decine di morti.

Donne a Guna Yala assistono alla rievocazione
Donne a Guna Yala assistono alla rievocazione – foto di Ilaria Cazziol

Una storia da ricordare

Oggi, a distanza di quasi 100 anni, questo è il modo in cui lo ricordano.

Per il Dìa de la Revoluciòn Dule tutta la popolazione, su ognuna delle isole in cui vivono le varie comunità, organizza una “recita” con tanto di effetti speciali (il sangue che esce dalla bocca è un frutto dal liquido rosso che l’uomo schiaccia con i denti).

Uomo picchiato dalla polizia Panama Guna Yala
Uomo picchiato dalla polizia di Panama a Guna Yala – Foto di Ilaria Cazziol

La violenza della messa in scena, che a me sembra quasi eccessiva (e anche a quel bambino che piangeva) serve a ricordare per cosa hanno combattuto, per cosa sono morti e hanno ucciso: la loro identità. 

E come hanno vinto, più di tanti altri popoli indigeni.

E cosi, mentre la scena successiva ha inizio (ora sono un gruppo di donne e uomini intenti a ballare le danze tradizionali, e i compatrioti che interpretano i poliziotti girano loro intorno guardandoli in cagnesco), io mi sporgo in avanti con la fotocamera e comincio a scattare:

sono l’unica straniera alla loro festa, sola testimone per un mondo che ignora completamente la loro rivoluzione (anche la loro esistenza, per la maggior parte), e voglio che le mie immagini e le mie parole la raccontino.

danze tradizionali guna yala
Danze tradizionali di guna yala – Foto di Ilaria Cazziol

Guna Yala, la realtà nascosta dietro il paradiso tropicale

Non so esattamente a quanti stranieri sia capitato di partecipare a questa festa, ma una certezza facendo una ricerca in internet ce l’ho: sono pochi. 

uomini guna osservano la rivoluzione
uomini Guna osservano la rivoluzione – foto Ilaria Cazziol

Non trovo testimonianze, oltre alla mia, di questo evento surreale fatto di indigeni-stuntman, capanne di paglia, maiali trasportati sulle barche, pentoloni di pasta grandi quanto una vasca da bagno, e gente che si picchia selvaggiamente con dei tubi di polistirolo.

Questo perché, per chi si trova alle San Blas, è facile ignorare completamente l’esistenza dei Guna. L’unica traccia della loro presenza è l’occasionale pescatore che passa vicino alle isole per turisti nel suo cayuco, la canoa tradizionale intagliata a mano nel tronco di un albero.

Per il resto, sono i Guna stessi a non farsi più di tanto vedere, né conoscere.

pescatore guna nel tradizionale cayuco
Pescatore guna nel tradizionale cayuco – foto Ilaria Cazziol

Un paradiso davvero incontaminato

Nel 1925 sono riusciti ad ottenere l’indipendenza e a gestire in autonomia la propria fetta del Paese, composta da oltre 400 isole e un bel lembo di terra ferma. Da allora hanno gestito questa fortuna, che pochi popoli indigeni nel mondo hanno, con estrema cautela.

donna guna apre un cocco
Una donna guna apre un cocco – foto di Ilaria Cazziol

I Guna sono un popolo molto fiero delle proprie tradizioni, probabilmente anche perché sono consapevoli di essere morti e aver ucciso per esse. La loro società matriarcale e fortemente democratica prevede che ogni decisione, anche la più piccola, passi per il Congresso Guna, e negli anni quest’organo di governo ha promulgato una serie di leggi molto lungimiranti per salvaguardare la propria autonomia, ma così facendo ha anche sancito il proprio isolamento. 

Ad esempio, tutte le proprietà e i possedimenti nel territorio di Guna Yala devono essere intestati a un Guna (tendenzialmente le donne), anche in caso di matrimoni con forestieri. Questo ha permesso di mantenere totalmente la proprietà di questo paradiso tropicale, al contrario di altri luoghi come le Seychelles o le Maldive qui non esistono grandi resort di proprietà di ricchi stranieri: tutto ciò che c’è qui, è dei Guna.

Guna costruiscono una casa tradizionale
Guna costruiscono una casa tradizionale – foto Ilaria Cazziol

Un’autonomia che diventa isolamento?

Questa popolazione ama vivere in comunità, con isole di pochi chilometri quadrati che ospitano migliaia di persone tra case in muratura e capanne tradizionali. Questo ha quindi determinato che i turisti venissero in modo naturale “relegati” nelle isole disabitate, e ha creato il paradiso turistico delle San Blas come lo conosce la maggior parte dei viaggiatori: un insieme pressoché infinito di isole e isolette disabitate, ornate solo da una corona di palme e circondate da un mare cristallino.

isole tropicali delle San Blas
Le isole tropicali delle San Blas – foto Ilaria Cazziol

Per la maggior parte di essi, i Guna non sono che un elemento di contorno. Una popolazione da cui acquistare le mola adattate ai gusti occidentali (i cui disegni “commerciali” raffigurano oggi anche Minny e Topolino). O da cui farsi ornare le braccia con sottili fili di perline colorate, senza forse nemmeno sapere che per le donne Guna quello è un modo di proteggere la pelle come per noi i vestiti.

braccialetti tipici delle donne Guna, san Blas
I braccialetti tipici delle donne Guna, san Blas – foto Ilaria Cazziol

I loro villaggi sono una visione in lontananza su qualche isola su cui non hanno messo piede e non hanno interesse a farlo. E solo pochi sanno della loro autonomia o del modo in cui l’hanno conquistata, giusto se sono arrivati a leggere la mezza pagina a riguardo sulla Lonely Planet. 

Nemmeno i panamesi stessi conoscono molto i Guna, né la loro rivoluzione; figuriamoci il resto del mondo

Elvira Lòpez Fàbrega

Nemmeno i panamesi stessi conoscono molto i Guna, né la loro rivoluzione; figuriamoci il resto del mondo”, mi dice Elvira Lòpez Fàbrega, direttrice del Museo de la Libertad y los Derechos Humanos di Panama, che sta assistendo per la prima volta alla celebrazione come me per poter allestire una mostra adeguata sulla cultura Guna.

Per questo motivo, un po’ voluto dai Guna stessi, un po’ casualmente creatosi nel loro tentativo di difendere la propria autonomia, pochissimi turisti conoscono davvero i Guna, e ancora meno hanno avuto l’occasione di partecipare a eventi come questo.

E io, come ci sono riuscita?

Una delle isole paradisiache delle San Blas
Una delle isole paradisiache delle San Blas – foto Ilaria Cazziol

La fortuna aiuta gli audaci – oltre il reportage

In effetti le cose che sono successe, le opportunità che ho avuto in questo viaggio, hanno del surreale. Ma nascono tutte da un desiderio: trovare storie autentiche e interessanti da raccontare con la mia fotocamera e i miei testi. 

Ero alla ricerca di un’opportunità di fare ciò che più amo ma da qualche anno era rimasto indietro nella mia lista delle priorità: fare reportage di viaggio. È così che ho trovato Panama, perché avevo scoperto un’esperienza di volontariato su Worldpackers in un centro di ricerca nella giungla panamese. 

Andare a fare volontariato con foto e video in un paradiso per la sostenibilità e la conservazione sembrava già un motivo più che sufficiente per esplorare Panama, molto meno nota dal punto di vista turistico dei suoi vicini più famosi come Colombia e Costa Rica.

Quando ho iniziato a informarmi su Panama, anche per me non era altro che un puntino su una mappa. E tra i primi luoghi di interesse che ho letto, c’erano loro: l’arcipelago delle isole San Blas.

nomade digitale alle San Blas
Una nomade digitale alle San Blas – foto Ilaria Cazziol

Nemmeno sapevo che erano a Panama, prima di iniziare a studiare cosa diavolo ci fosse da fare in questo Paese a parte il volontariato che avevo trovato. Sembravano un paradiso tropicale come ogni altro, un posto esotico e scenografico in cui passare qualche giorno, la classica instagrammata.

Poi ho letto dei Guna, così per caso, su un blog…e mi sono innamorata. 

Non tanto di loro, ma di un’idea: che come non li conoscevo io, non li conoscessero tanti altri. E che quindi potessi essere io, per caso o per destino, a raccontarli.

Il colpo di fulmine con un’idea

Solo una volta arrivata a Panama ho per puro caso scoperto che proprio febbraio era il mese della liberazione: su una Lonely Planet prestata, su cui ho speso un’ora a leggere dei Kuna, scopro che il 25 è il gran Giorno della Rivoluzione.

Ma più leggevo più mi rendevo anche conto che sarebbe stato difficile conoscerli. Come detto, i turisti sono perlopiù relegati nelle isole destinate a loro, lontani dalle comunità, su isolette di pochi metri quadri con un bar pieno di alcool, tante noci di cocco e l’acqua cristallina a distrarli.

Ragazzo guna in cerca di noci di cocco
Ragazzo guna in cerca di noci di cocco – foto Ilaria Cazziol

Ma io non volevo quello. Desideravo entrare davvero in contatto con loro, partecipare alle loro attività, conoscere il popolo nascosto dietro il paradiso incontaminato. Ma sembrava a dir poco difficile realizzarlo.

Al contrario delle altre popolazioni indigene di Panama, come gli Emberà, non esistono online i classici “tour della cultura Guna”, in cui i turisti vengono portati a fare foto e comprare suouvenir in villaggi che ormai di autentico hanno poco, come mi è capitato in Namibia. E per fortuna, aggiungerei.

Ma quest’assenza, piuttosto rara nel mondo, la dice lunga su come i Guna siano turisticamente irraggiungibili.

villaggio Guna alle San Blas (Guna Yala)
Un villaggio Guna alle San Blas (Guna Yala)- foto Ilaria Cazziol

Speravo che andando a fare il mio periodo di volontariato avrei trovato delle soluzioni, delle opportunità…Ma non è che ci sperassi molto. Comunque, dal momento stesso in cui ho messo piede a lì, ho iniziato a informarmi. A chiedere. A seminare.

A chiunque incontrassi provavo a chiedere dei Guna. Cercavo un contatto, un modo, un’opportunità…ma non sembrava arrivare nulla. Alla fine, stavo per rinunciarci. Sarei andata come normale turista e avrei sperato in una botta di fortuna lì.

E allora è successo.

L’occasione che incontra la preparazione

E poi arriva l’occasione. Inaspettata, insperata, non cercata in quel momento…parlando del mio sogno con la moglie del fondatore di Geoversity, l’attività per cui stavo facendo volontariato, lei mi sorride e mi dice: “be’ ma allora dovresti proprio andare con lui a Guna Yala: parte domani”.

Mi cade la mascella. Non avevo idea che andasse lì a visitare una comunità. Era la mia grande occasione.

Era anche una follia completamente inaspettata, che cambiava tutti i miei piani dall’oggi al domani…ma non importava. 

Ho sentito potente la mia idea urlare di gioia dentro di me, e praticamente ero già pronta a fare la valigia. Anche perché, quando mi capita la grande opportunità? Il 22, partenza il 23. Due giorni prima del Giorno della Liberazione. 

Più perfetto di così si muore. Sì ok, questa è fortuna lo ammetto!

La fortuna non arriva: la invochi

Ecco come mi sono ritrovata, pochi giorni dopo, a realizzare il sogno nel modo più spettacolare. Vivere e fotografare una festa locale davvero originale e super sentita, di cui poche persone al mondo avranno sentito parlare, figuriamoci assistervi!

viva la revolucion dule - guna yala
Viva la revolucion dule – guna yala – foto Ilaria Cazziol

Tramite il fondatore di Geoversity ho conosciuto Iniquilipi, un giovane Guna con grandi ambizioni e tanta voglia di realizzarle.

Fa parte del Congresso Guna, ha creato il Guna Youth Congress per dare voce anche ai giovani, è uno dei rappresentanti di questo popolo all’ONU.

Iniquilipi con la sua famiglia Guna
Iniquilipi con la sua famiglia alla festa della rivoluzione Guna – foto Ilaria Cazziol

Ma è anche un imprenditore, che con il suo progetto online di qualità altissima, TVIndigena, cerca di dar voce (digitale) alle popolazioni indigene sotto-rappresentate online. E qualche anno fa è stato scelto dal Congresso per realizzare un progetto ambizioso: rendere fruibile ai turisti un’isola comunitaria, Anmardub, il cui intero ricavato vada alla comunità che la possiede in maniera equa (le altre isole, invece, sono sempre dei Guna ma private, e i guadagni vanno a una singola famiglia).

È un dovere, non un’opportunità”, mi dice Ini raccontandomi di questo progetto. “Il Congresso ha scelto me e io faccio del mio meglio. Voglio essere un ponte: un ponte tra i popoli, tra la mia popolazione e il resto del mondo, e tra le generazioni, tra la visione molto tradizionale dei Guna più anziani e le opportunità che dobbiamo saper cogliere dal mondo moderno”.

È proprio Iniquilipi ad “adottarmi” e a farmi vivere tutto ciò: mi ospita sulla “sua” Anmardub, dove passo alcuni giorni surreali su un’isola deserta, vivendo nelle classiche tende da campeggio.

Isola Anmardub e il camping
Isola Anmardub e il suo piccolo camping – foto Ilaria Cazziol

Nemmeno le capanne vengono costruite qui, per tenere il turismo più naturale e contenuto possibile. Sono l’unica turista “residente” mentre gli altri che incontro, e che non sanno nulla dei Guna, vanno e vengono in giornata, con i classici tour “island hopping” che prevedono 4 o più giorni di giri tra un’isola e l’altra.

E poi è sempre Ini a portarmi a vivere l’esperienza del Dìa de la Revoluciòn Dule nella comunità di Niadu, insieme alla sua famiglia.

Qui, oltre ad assistere alla recita incredibile di cui ho parlato, condivido tutto con la popolazione locale: dalle capanne di paglia in cui dormiamo su comode amache, al pasto a base di noodles cucinati per il migliaio di persone che partecipano alla festa. I pentoloni sono talmente grandi che per girare la pasta usano le canalete, le pagaie di legno con cui navigano sui cayuco.

La cucina per la festa de la rivolucion dule Guna
La cucina per la festa de la revolucion dule Guna – foto Ilaria Cazziol

E scatto, scatto tante di quelle foto che la mia fotocamera fuma. Scatto per ricordare ogni istante, perché questa avventura supera i sogni e si mischia con la fantasia per una scrittrice e fotografa di viaggio come me. 

Ma scatto anche perché sento forte il bisogno di condividere questa esperienza unica di cui sono stata testimone.

Di amplificare la voce di Iniquilipi, supportando la sua voglia di portare la sua bella cultura fuori dall’isolamento in cui si è trovata, pur salvaguardando l’unicità delle sue tradizioni. Di proteggerla dal turismo di massa “sporco”, quello che annienta le tipicità locali invece di valorizzarle, dal cambiamento climatico che sommerge ogni giorno un po’ di più le isole, e da ogni altra minaccia.

Uomo lavora il legno per creare un cayuco tradizionale
Uomo lavora il legno per creare un cayuco tradizionale – foto Ilaria Cazziol

E di raccontare al mondo la storia della Revoluciòn Dule, di come un popolo indigeno senza armi né addestramento ha ottenuto l’indipendenza in un giorno, per ricordarci quanto è importante salvaguardare queste culture meravigliose e uniche nel mondo, prima che la modernità o le scelte scellerate dei governi le facciano sparire.

Quindi grazie per aver letto fin qui: sei una persona in più che oggi conosce tutto questo, e so che la mia storia resterà con te per sempre. E che se avrai l’occasione di andarci, sceglierai di visitare con consapevolezza la meravigliosa Guna Yala, invece del paradiso di plastica delle San Blas.

Un abbraccio,

Ilaria


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2 thoughts on “Dìa de la Revoluciòn Dule a Guna Yala: una festa violenta nel paradiso delle San Blas [Oltre Il Reportage]

  1. Finalmente riesco a leggere la storia dei guna che tu ai vissuto nel profondo…leggevo che i guna anno trascinato nella liberazione molti altri popoli indigeni ispirati da loro…bravissima

    1. Grazie Ivan, sono contenta di averti portato con successo la loro storia, ti confermo che sono davvero un popolo che ha tracciato la strada per molte popolazioni indigene in altre parti del mondo (e tuttora lo fanno con bellissimi progetti come TVindigena.org, gestito dalla persona che mi ha ospitato e fatto partecipare a questo evento.

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